L'esplosione

(tratto da “CHERNOBYL” FISICA/MENTE DI Roberto Renzetti www.fisicamente.net)


In accordo con il programma dell'esperimento, circa un'ora prima che esso venisse effettuato, furono chiusi gli ECCS con il reattore che continuava ad operare a mezza potenza.

Intorno alle ore 23:10 del 25 aprile il controllore della rete acconsentì ad una ulteriore riduzione di potenza.
Vi è qui da osservare che l'esperimento andava ad iniziare con 10 ore di ritardo rispetto a quanto programmato e ciò avveniva (come un non convincente capodelegazione sovietica a Vienna, Legasov, disse) per una richiesta inattesa di energia elettrica nella regione di Kiev.

Lo stesso capodelegazione disse che la cosa non aveva comunque nulla a che fare con l'incidente, anche qui in modo non convincente, quantomeno perché la sala di controllo sarebbe stata condotta da personale più esperto.

C'è inoltre da tener conto bene delle date: il 25 aprile era venerdì e l'1 e 2 maggio sono feste nazionali.

Con un paio di giorni da giocare è possibile fare un ponte lungo e certamente varie persone lo hanno fatto e probabilmente quelle più elevate in grado e quindi più esperte.

Questo fatto, verosimilmente, aiutò lo svolgimento dei fatti nella direzione che sappiamo.

Per realizzare il test il reattore si sarebbe dovuto stabilizzare a circa 1000 MW termici prima di fermarlo ma, a seguito di un errore procedurale (dovuto probabilmente a cattiva taratura degli strumenti), le barre di controllo scesero più del previsto e la potenza del reattore precipitò a circa 30 MW termici, dove l'instabilità diventa dominante (si seguano gli eventi con l'aiuto delle figure 2, 3 e 4).

In questo momento la turbina era a minima potenza e forniva intorno ai 10 MW elettrici, quantità insufficiente per far funzionare le pompe del sistema di refrigerazione (due, ciascuna delle quali richiedeva una potenza di 5,5 MW elettrici).

A questo punto si sarebbe dovuta sospendere la prova e rimettere in funzione i dispositivi di emergenza.

Gli operatori confidarono però di poter elevare la potenza a 700 - 1000 MW termici chiudendo i regolatori automatici e passando tutte le barre di controllo ad operazioni manuali (per evitare i sistemi automatici che lo avrebbero impedito).

Solo verso l'una del 26 aprile si riuscì a stabilizzare il reattore a circa 200 MW termici e non c'era verso di aumentare questa potenza a seguito dello Xenon che mangiava neutroni.

Questa potenza era insufficiente per realizzare l'esperimento.

Benché ci fosse una direttiva che richiedeva un minimo di 30 barre di controllo per garantire la sicurezza del reattore, per realizzare il test, si passò ai comandi manuali e furono alzate altre barre di controllo, lasciandone solo 6-8 dentro il nocciolo.

Ciò significa che se ci fosse stato un innalzamento di potenza, sarebbero occorsi circa 20 secondi per abbassare tutte le barre di controllo e spegnere il reattore.

Nonostante ciò si decise di continuare il test programmato e, per farlo, fu aumentato il flusso di refrigerante (da 56000 a 58000 tonnellate l'ora) mettendo in funzione la pompa principale collegata alla rete elettrica principale (era l'una e 7 minuti), fatto (vietato dalle normative di sicurezza) che provocò una caduta della pressione del vapore e cambi in altri parametri del reattore.

Il disinnesto automatico che avrebbe dovuto spegnere il reattore quando fosse scesa la pressione del vapore, risultava escluso.

Per aumentare la potenza gli operatori estrassero quasi tutte le barre di controllo che restavano.

Il reattore diventò molto instabile e gli operatori tentarono di fare aggiustamenti ogni 5 secondi cercando di mantenere costante la potenza.

All'incirca in questo momento gli operatori ridussero il flusso dell'alimentazione di acqua, presumibilmente al fine di mantenere la pressione del vapore.

Simultaneamente le pompe che erano alimentate dalla turbina che andava più lenta fornivano meno acqua di raffreddamento al reattore.

Si era ora nelle condizioni di fare il test, era l'una 22 minuti e mezzo.

Ogni indicazione da manuale indicava che il reattore doveva essere spento immediatamente.

Iniziò il test.

La potenza del reattore si trovava ad un 12% del valore approssimativamente necessario a portare alla massima velocità di rotazione il turbogeneratore ed eravamo in queste condizioni a seguito della caduta di pressione cui accennavo.

All'una 23 minuti e 4 secondi vennero chiuse le valvole regolatrici di emergenza del turbogeneratore numero 8, con ciò scollegando la turbina dal vapore.

Il piano della prova prevedeva a questo punto che quattro pompe restassero in funzione con il turbogeneratore in rallentamento.

E' però difficile capire come si fosse pensata una cosa del genere.

Se ogni pompa necessita 5,5 MW (e come minimo 4,3 MW) e se erano in funzione altre due pompe in totale sarebbero occorsi almeno una trentina di megawatt ed il turbogeneratore stava fornendo circa 60 MW elettrici (e non i circa 250 previsti nel progetto originale della prova che avrebbero permesso il funzionamento delle pompe per almeno 50 secondi).

Una volta iniziata la prova il turbogeneratore iniziò a decelerare.

Anche il suo rendimento elettrico iniziò a scendere notevolmente.

Quando il flusso di vapore cessò di arrivare alla turbina in un momento di tale instabilità (nel medesimo tempo in cui diminuiva il flusso dell'acqua in circolo), lo stesso vapore restò nel nucleo e formò rapidamente delle bolle dentro di esso.

La potenza del reattore cominciò a crescere piano piano.

Le bolle di vapore non sono refrigeranti di modo che gli elementi di combustibile iniziarono a surriscaldarsi.

Crebbero le bolle e con esse la temperatura del nocciolo e la pressione del vapore.

Diminuiva il flusso totale dell'acqua di refrigerazione perché 4 delle 8 pompe che la facevano circolare erano, come accennato, sottoalimentate a seguito della decelerazione del turbogeneratore. 

Ma la diminuzione dell'acqua di raffreddamento aumentò la condizione di instabilità del reattore aumentando la produzione di vapore nei canali di raffreddamento.

Quando la potenza iniziò ad aumentare visibilmente, gli operatori si resero conto che era iniziata l'emergenza. All'una 23 minuti e 40 secondi iniziarono a suonare le sirene di allarme per emergenza grave al reattore.

Solo 36 secondi dall'inizio della prova ... già troppo tardi.

Tutte le barre di controllo si trovavano alzate ed il segnale di allarme avrebbe dovuto farle abbassare automaticamente, anche se la lentezza, alla quale ho già accennato, nel moto di esse avrebbe potuto abbassare la potenza di un 5% al secondo.

Non bastava! Ci si rese in seguito conto di un grave errore nel progetto delle barre di controllo, errore probabilmente alla base della prima esplosione.

Le barre di controllo di boro terminavano con cilindri di alluminio di 4, 5 metri di lunghezza, pieni di grafite incorporata. I cilindri di grafite giocavano un doppio ruolo: aiutavano i blocchi di grafite del reattore, attuando come ulteriori moderatori, e deviavano l'acqua dei canali di controllo quando si facevano discendere le barre.


a) 1 è la barra di controllo di boro che assorbe neutroni ed è in posizione sollevata. Ad essa è connesso il cilindro 3 che è di alluminio pieno di grafite. Nella posizione di figura, attraverso 2 circola acqua di raffreddamento.
b) e c) rappresentano modifiche nel disegno nei reattori RBMK dopo l'incidente di Chernobyl.


Il disegno era tale (cilindri troppo corti e situati nella sezione centrale del nucleo del reattore) che, appena dato il comando di discesa delle barre, si aveva un aumento iniziale della reattività nella parte inferiore del nucleo del reattore per i primi 4 secondi ed in quel frangente questi 4 secondi furono probabilmente fatali.

Nella situazione instabile in cui ci si trovava e considerando le elevatissime temperature che si stavano producendo, i terminali di grafite, nel discendere, fusero gli elementi di combustibile che si trovavano nella parte inferiore del nucleo, provocando la distruzione locale di ogni geometria.

La potenza continuò ad aumentare spettacolarmente: in soli 3 secondi era arrivata a 530 MW.

Gli operatori non furono in grado di prevenire  questo eccezionale aumento, stimato in 100 volte la potenza nominale di uscita nei 4 secondi successivi (01:23:44).

Le barre in discesa si bloccarono a metà strada, dopo che si udirono una serie di colpi.

L'operatore si rese conto che si erano bloccate a metà cammino e tolse la corrente al servomeccanismo, in modo che le barre potessero cadere per gravità. Niente.

Il disegno sbagliato, la forte pressione e l'elevatissima temperatura avevano distrutto i canali nei quali scivolavano le barre.

La reazione a catena andava avanti senza essere moderata o refrigerata con la conseguenza che la temperatura del nucleo e la pressione del vapore continuavano ad aumentare insieme alla distruzione di ogni geometria fondamentale per i controlli.

Una ricostruzione al computer dell'incidente dice che a questo punto gli elementi di combustibile si andavano rompendo provocando un aumento rapido della pressione del vapore nei canali che contenevano il combustibile stesso con la conseguente distruzione dei medesimi.

A questo punto l'acqua di refrigerazione non aveva più dove circolare liberamente ma solo attraverso pezzi di combustibile rotti e surriscaldati.

Piccole parti di combustibile ad alta temperatura, reagendo con l'acqua, provocarono una potente esplosione del vapore che distrusse il nocciolo della centrale.

Era l'una e 24 secondi, 20 secondi dopo l'inizio dell'emergenza.

L'esplosione danneggiò il tetto e fece sollevare il coperchio monoblocco di acciaio della centrale, del peso di circa 2000  tonnellate (il pezzo verde nella figura sotto).

Per maggiore disgrazia, nel ricadere, questo coperchio si adagiò di fianco incastrandosi tra le opere murarie (vedi foto sotto) e nei suoi violenti spostamenti strappò cavi e varie tubature provocando svariati danni, ormai a catena.







Passarono solo 2 o 3 secondi e seguì una seconda esplosione, molto più violenta.

Questa volta era l'idrogeno il responsabile, idrogeno prodotto dalla reazione ad alta temperatura tra vapore e zirconio (il materiale che faceva da camicia ai tubi che contenevano le barre)  e tra vapore e grafite incandescente (che produce idrogeno ed ossigeno).

Tale idrogeno si era probabilmente accumulato localmente negli spazi del nocciolo liberi o liberati.

Testimoni all'esterno della centrale hanno visto scagliati all'aria pezzi in fiamme che, nel ricadere, estendevano l'incendio al corpo della centrale stessa.

Circa il 25% dei blocchi di grafite fu sparato all'aria in fiamme.

Furono scagliati lontano anche pezzi di elementi di combustibile, parti del nocciolo e delle strutture portanti. Le spaccature nel tetto fecero da effetto camino con l'estensione ulteriore dell'incendio.

Questo fu l'inizio della catastrofe.
Il pennacchio di fumi, contenenti isotopi radioattivi, si alzò per oltre un chilometro sopra la centrale.
I componenti pesanti di questi fumi ricaddero più o meno nelle vicinanze della centrale, ma i componenti leggeri, i gas, iniziarono la loro marcia per l'Europa iniziando dal Nord-Est della centrale, dove i venti prevalenti spingevano.

Sparito il refrigerante, sparito ogni controllo, finita la geometria del reattore, in qualche parte proseguiva la reazione a catena perché vi era Uranio 235 ed un moderatore (grafite)  ancora efficienti (la cosa non sarebbe accaduta in un VVER o PWR perché la perdita del refrigerante avrebbe coinciso con la perdita del moderatore).

Saliva la temperatura ed il nocciolo stava fondendo in una massa unica nella quale proseguiva e sarebbe proseguita per molto tempo la reazione a catena.

Il nocciolo intanto penetrava nel suolo per oltre 4 metri.

Ormai c'era solo da tentare qualche operazione che alleviasse il completo disastro.

Oltre cento incendi erano scoppiati nelle adiacenze della centrale.

Occorreva fermarli, spegnere la grafite.

Non si dimentichi che, a lato dell'Unità 4 vi erano altri 3 reattori funzionanti e che una estensione del disastro sarebbe stata un'apocalisse. 

Inoltre tutti sapevano che non si aveva a che fare con semplici esplosioni di natura chimica: ora ad esse si sarebbe accompagnata una radioattività incontrollabile e disastrosa.

Negli elementi di combustibile dei 4 reattori vi erano oltre 3000 Kg di plutonio e 700 tonnellate di Uranio ed una infinita di isotopi radioattivi ottenuti come prodotti di fissione delle successive reazioni nucleari.

Nessuno sapeva bene come impedire o arginare la catastrofe.

Centinaia di pompieri intervenuti dalla vicina Pripyat si sacrificarono, essendo esposti per primi ad enormi dosi di radioattività, per tentare lo spegnimento degli incendi (tra l'altro questi uomini intervennero con attrezzature del tutto inadeguate: non avevano vestiti speciali che li coprissero completamente, non avevano maschere con filtri efficienti, non avevano dosimetri adeguati, ...).

Ci vollero una ventina di giorni per venire a capo di tutti gli incendi.

Ma già a partire dal decimo giorno le emissioni radioattive erano diminuite di molto dopo che si era riusciti a spegnere la grafite (l'incendio della quale pone particolarissimi problemi), il cui fuoco era il maggior responsabile del lancio di radionuclidi in atmosfera.

E' stato calcolato che nelle primissime ore le esplosioni hanno lanciato nell'atmosfera 20 milioni di curie di materiali radioattivi e quasi la stessa quantità di gas radioattivi inerti come Xenon 133 e Kripton 85

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